La realtà dell’intimità diviene una costante per tutta la vita, prima con noi stessi, poi con qualcun altro simile a noi, poi con il partner.
Questo richiede la volontà crescente di rompere l’illusione di intimità per affrontare la dialettica tra il “me” e il “noi”, ciascuno dei quali è fonte, in qualche modo di sofferenza: nel “me” c’è il timore dell’isolamento e della solitudine; nel “noi” la paura della schiavitù e della perdita del sé.
Si tratta della graduale decisione di sperimentare a un livello profondo il rapporto da persona a persona con un altro diverso da noi.
Questo richiede la volontà crescente di rompere l’illusione di intimità per affrontare la dialettica tra il “me” e il “noi”, ciascuno dei quali è fonte, in qualche modo di sofferenza: nel “me” c’è il timore dell’isolamento e della solitudine; nel “noi” la paura della schiavitù e della perdita del sé.
Si tratta della graduale decisione di sperimentare a un livello profondo il rapporto da persona a persona con un altro diverso da noi.
Tale decisione porta spesso al corteggiamento, all’unione con un’altra persona, e alla formazione della coppia.
All’interno della coppia la temperatura della relazione sale e può essere connotata da desiderio o da ostilità: nel primo caso emerge la dimensione della sessualità, nel secondo quella dell’aggressività.
Di per sé sessualità ed aggressività costituiscono dimensioni fisiologiche della vita di coppia, ma mentre la prima viene considerata generalmente una componente fondamentale per mantenere e consolidare una relazione in maniera soddisfacente, la seconda è spesso additata come fonte di malessere e accomunata a episodi di violenza domestica o delitti familiari.
Tale concezione è il risultato di quella “cultura di coppia” che troppo spesso ripropone modelli rigidi e persecutori, con la conseguente stigmatizzazione di ruoli predefiniti e immutabili (quali ad esempio quelli di vittima e carnefice) che impediscono il cambiamento, visto come portatore di diversità e pericolo per l’identità personale e della coppia.
All’interno della coppia la temperatura della relazione sale e può essere connotata da desiderio o da ostilità: nel primo caso emerge la dimensione della sessualità, nel secondo quella dell’aggressività.
Di per sé sessualità ed aggressività costituiscono dimensioni fisiologiche della vita di coppia, ma mentre la prima viene considerata generalmente una componente fondamentale per mantenere e consolidare una relazione in maniera soddisfacente, la seconda è spesso additata come fonte di malessere e accomunata a episodi di violenza domestica o delitti familiari.
Tale concezione è il risultato di quella “cultura di coppia” che troppo spesso ripropone modelli rigidi e persecutori, con la conseguente stigmatizzazione di ruoli predefiniti e immutabili (quali ad esempio quelli di vittima e carnefice) che impediscono il cambiamento, visto come portatore di diversità e pericolo per l’identità personale e della coppia.
Tale “cultura di coppia” affonda le sue radici nel “pensiero saturo”, vale a dire quell’orientamento mentale che tende a vivere ogni relazione attraverso un pensiero dicotomico, nella “logica del potere a somma zero” che genera invidia e risentimento, e attraverso la quale si attribuiscono al partner tutte le nostre disgrazie e i nostri malesseri: si tratta di una “trappola” innescata dalla convinzione che nella dualità della coppia e nella totalità del sistema di soddisfazione dei bisogni che essa deve garantire non vi sia spazio per null’altro.
La creazione di tale spazio è impedita nella “cultura di coppia” dal fantasma dell’amante, cioè dalla figura che nel sentire comune rappresenta la privazione, lo spostamento, l’aggressione esterna alla coppia, quindi la sua distruzione e, nel contempo, la creatività, la gioia, la passione, ciò che non vi è più, o non vi è mai stato, nella coppia “formale”.
Contro tale pericolo vengono indirizzate tutte quelle forme di aggressività che nella coppia compongono il sistema di riconferma reciproca del patto di esclusività che la “cultura di coppia” pretende.
Lo spazio per il cambiamento in tal modo diventa un “terzo escluso”, vale a dire un’opportunità da sacrificare nel nome del funzionamento omeostatico della coppia.
La creazione di tale spazio è impedita nella “cultura di coppia” dal fantasma dell’amante, cioè dalla figura che nel sentire comune rappresenta la privazione, lo spostamento, l’aggressione esterna alla coppia, quindi la sua distruzione e, nel contempo, la creatività, la gioia, la passione, ciò che non vi è più, o non vi è mai stato, nella coppia “formale”.
Contro tale pericolo vengono indirizzate tutte quelle forme di aggressività che nella coppia compongono il sistema di riconferma reciproca del patto di esclusività che la “cultura di coppia” pretende.
Lo spazio per il cambiamento in tal modo diventa un “terzo escluso”, vale a dire un’opportunità da sacrificare nel nome del funzionamento omeostatico della coppia.
L’alternativa per la coppia consiste di fatto nel “terzo incluso”, ovvero di uno spazio per legittimare e coltivare l’amore di sè, anche attraverso quelle forme fisiologiche di autoaffermazione e aggressività che possono bloccare l’aspetto omeostatico della coppia.
In pratica il “terzo incluso” può diventare un luogo dove appartarsi, dove può venir meno il senso di appartenenza alla coppia stessa.
Questo spazio, che è uno spazio mentale, ma anche corporeo, assume una valenza negativa se diventa il luogo del “non detto”, l’angolo buio delle emozioni inesplicabili, delle modifiche del patto di coppia che non possono essere agite: in tal modo finisce per rappresentare quell’insieme di vissuti negativi, quali ad esempio il rimpianto e la rassegnazione, che in alcuni casi costituiscono il preludio alla costruzione di sindromi depressive.
In pratica il “terzo incluso” può diventare un luogo dove appartarsi, dove può venir meno il senso di appartenenza alla coppia stessa.
Questo spazio, che è uno spazio mentale, ma anche corporeo, assume una valenza negativa se diventa il luogo del “non detto”, l’angolo buio delle emozioni inesplicabili, delle modifiche del patto di coppia che non possono essere agite: in tal modo finisce per rappresentare quell’insieme di vissuti negativi, quali ad esempio il rimpianto e la rassegnazione, che in alcuni casi costituiscono il preludio alla costruzione di sindromi depressive.
Tuttavia esso può anche essere vissuto come luogo di crescita e di rielaborazione, all’interno del quale esplicitare le immozioni, troppo spesso lasciate fuori dalla “cultura di coppia”. Al contrario delle emozioni, che richiamano l’idea di un movimento dall’interno verso l’esterno (dal latino ex-movere), le immozioni (dal latino in-movere) hanno a che vedere con le dinamiche intrapsichiche, con i desideri e i bisogni dell’individuo, con le storie soggettive e le origini delle storie d’amore.
Il dialogo sulle immozioni nella coppia, cioè il dialogo sui desideri e i bisogni individuali e sulla loro continua messa in discussione, fa parte dell’agito di un’aggressività costruttiva che si contrappone alla routine, alla complementarietà e alla replicazione all’infinito di codici e modelli familiari pensati come immodificabili.
Tale dialogo permette la costruzione di un “noi” basato, non sulla somma di due identità o su un processo di reciproca identificazione, bensì sulla comprensione delle dinamiche individuali, di coppia e sui processi di cambiamento.
Il dialogo sulle immozioni nella coppia, cioè il dialogo sui desideri e i bisogni individuali e sulla loro continua messa in discussione, fa parte dell’agito di un’aggressività costruttiva che si contrappone alla routine, alla complementarietà e alla replicazione all’infinito di codici e modelli familiari pensati come immodificabili.
Tale dialogo permette la costruzione di un “noi” basato, non sulla somma di due identità o su un processo di reciproca identificazione, bensì sulla comprensione delle dinamiche individuali, di coppia e sui processi di cambiamento.