F.A.Q.

L’ansia e il panico rappresentano esperienze sgradevoli e spesso invalidanti e sono l’espressione inconscia e corporea di un’emozione repressa.

Quando siamo bambini, sin dal primo anno di vita, siamo già in grado di reagire al dolore e alla paura tramite il pianto e la collera, e attraverso l’espressione di queste emozioni allentiamo la tensione derivante dal disagio emotivo.

Purtroppo spesso nel corso del nostro sviluppo tali manifestazioni vengono biasimate da parte delle figure di accudimento, attraverso comportamenti verbali (ad es. dicendo al bambino “non piangere”, “non essere triste”, “non arrabbiarti”, ecc.) o non verbali (ad es. guardando con rabbia o disapprovazione il bambino mentre piange o si arrabbia, ecc.).

Poiché nell’infanzia abbiamo bisogno dell’adulto per sopravvivere, in quanto dipendiamo completamente da lui, finiamo per inibire l’espressione emozionale per non rischiare il conflitto e la separazione con le figure di accudimento, con la conseguenza che l’inibizione ripetuta di tali emozioni ci costringe in una posizione di vulnerabilità.

Questo senso di vulnerabilità, non essendo espresso a livello comportamentale, viene rimosso dalla coscienza, ma continua a manifestarsi nella memoria corporea scatenando i sintomi dell’ansia e del panico.

Nella psicoterapia biosistemica – ovvero a orientamento psicocorporeo – il terapeuta incoraggia l’espressione dell’emozione repressa attraverso il dialogo e le tecniche corporee, lavorando con il paziente sui contenuti mentali, sulle sensazioni, sulla respirazione e sul movimento, e fornendo sin da subito strumenti utili ad affrontare, anche al di fuori della seduta, l’ansia e il panico.

In tal modo la terapia a orientamento corporeo da risposte concrete e immediate, oltre che utili nella quotidianeità, al vissuto orientato all’urgenza che caratterizza questo tipo di disagio.

La relazione terapeuta paziente diventa inoltre un luogo sicuro all’interno del quale sciogliere i propri nodi emozionali e ritrovare un senso di tranquillità ed equilibrio personale.

Il termine depressione deriva dal latino deprimere, che letteralmente significa “portare a un livello più basso” e infatti rappresenta, nella nostra esperienza, un abbassamento significativo dell’umore, delle forze e, più in generale, della nostra energia vitale. La depressione non è un’emozione, bensì – come afferma Alexander Lowen – la mancanza di emozioni, che comporta una diminuzione della nostra capacità di dare risposte agli stimoli dell’ambiente.

L’esperienza della persona depressa è quasi totalmente priva di piacere, essendo compromessa la sua capacità di rispondere agli stimoli ambientali e relazionali.

L’atteggiamento verso la vita e se stessi è poco realistico, in quanto si concentra su un’immagine di sé irreale, in nome di un riscatto verso un trauma o una perdita infantile che ha intaccato la propria sicurezza. Lo stesso aspetto si riflette nel corpo: l’individuo non è consapevole delle limitazioni imposte dalle proprie rigidità muscolari, ha perso il contatto con il proprio corpo a discapito della concentrazione eccessiva e totalizzante su una rappresentazione personale utopistica; così il non sentire il proprio corpo equivale a non sentirsi nessuno, di conseguenza si cerca di correre ai ripari con un’immagine di se stessi basata sulla posizione economica o sociale e il valore che gli altri le riconoscono.

Queste persone sono “dirette dall’esterno”: hanno bisogno di altri cui poggiarsi emozionalmente e agiscono nell’attesa del riconoscimento altrui per sentirsi amati e accettati.

L’ego è dissociato dal corpo e la necessità di “essere qualcuno” nega l’importanza e il legame con il corpo stesso.

Gli approcci psicocorporei si occupano di riportare le persone “nel corpo”, di modo da sentirlo e “tenere i piedi per terra”. Questo tipo di lavoro prevede un’attenzione particolare alle sensazioni, alla respirazione e al grounding – radicamento al terreno -, favorendo il contatto con le componenti corporee del proprio vissuto emozionale.

Il corpo del depresso è in uno stato di rigidità e mancanza di energia, presenta motilità ridotta e respirazione superficiale, la postura non è ben eretta, le spalle e la testa tendono ad incurvarsi.

In alcuni casi la schiena rimane forzatamente diritta, in una posizione che potrebbe comunicare sicurezza, ma che funge da semplice copertura: questa è la condizione più comune per chi presenta tratti narcisistici.

La persona depressa è inconsapevole del proprio corpo, anzi lo evita caparbiamente poiché, se si lasciasse andare ad esso, emergerebbero il dolore e la vulnerabilità.

La depressione nasce dal tentativo di non provare dolore, ma ciò porta anche alla negazione del piacere, in quanto questi due stati emozionali sono strettamente legati tra loro. Inoltre il depresso manca di fede, non nel senso religioso del termine, bensì della capacità di affidarsi a qualcosa o qualcuno.

Così come il neonato ha bisogno di affidarsi alle cure genitoriali, per l’adulto è necessario riuscire a lasciar andare il controllo della realtà e di tutti quegli schemi funzionali a non essere vulnerabili, potendo finalmente esperire il piacere.

Chi ha fede non diventa depresso, ha i suoi alti e bassi e prova tristezza, sollievo e gioia. Tendenzialmente costruisce relazioni sane e non vive il dualismo conflittuale tra corpo e mente.

L’approccio psicocorporeo ci insegna a ripristinare un funzionamento psicofisico adeguato, consentendo l’aumento dell’energia vitale e del potenziale in ogni persona, per dare ascolto e voce a quelle parole che parlano del corpo: “mi manca l’aria” , “ho un enorme peso alla bocca dello stomaco”, “mi sento svuotato”, sono solo alcune delle tantissime espressioni verbali utilizzate per descrivere le componenti corporee del proprio malessere.

L’esplorazione e l’amplificazione di tali sensazioni permettono di intraprendere un percorso di riconnessione funzionale tra il Sé corporeo ed il pensiero, nella direzione di una maggiore consapevolezza del proprio mondo interno e dell’integrazione dell’esperienza corporea con quella mentale.

In tal modo l’individuo può provare un rinnovato senso di vitalità che consente di avere una concezione di sé e del mondo che lo circonda positiva e costruttiva e di stabilire relazioni basate sul contatto profondo, la condivisione e l’autenticità.