Il coronavirus e l’uscita dalla tana.

Da quando è iniziata la pandemia il lavoro con i miei pazienti ha subito grossi scossoni derivanti dalle componenti situazionali e dai cambiamenti imposti a ciascuno di noi dall’emergenza sanitaria. In principio la mia preoccupazione si è naturalmente rivolta a garantire la continuità della relazione terapeutica, per proseguire il lavoro di cura e sostegno intrapreso, attraverso adattamenti del setting volti da un lato a tutelare le condizioni di sicurezza e dall’altro a preservare il rapporto terapeuta-paziente (paziente, si, non cliente, utente, o altro ancora, perché la caratteristica più importante in terapia è proprio la pazienza, che diamine!). Successivamente sono emersi temi diversi da persona a persona, ma con alcuni comuni denominatori.

Ho già parlato in un precedente articolo delle reazioni emozionali davanti al pericolo costituito dalla pandemia del covid-19, la cui caratteristica principale ha riguardato le risposte fobiche e controfobiche, con conseguenti adattamenti che hanno assunto forme diverse a seconda delle caratteristiche personologiche individuali. Ciascuno di noi ha utilizzato strategie adattive personali per rispondere alla necessità di rispettare l’isolamento, le restrizioni e il distanziamento sociale, e per gestire l’angoscia derivante dalla crescente consapevolezza della propria fragilità, stimolata dal continuo messaggio di pericolo di morte, che filtrava attraverso i notiziari e i vari mezzi di comunicazione.

Ci siamo avvicinati con apprensione al picco, termine evocativo del raggiungimento di un apice di contagi, obiettivo auspicato, pur nella sua tragicità di significato, in quanto propedeutico alla visione di una luce in fondo al tunnel, di un inizio della fine, insomma, dell’uscita da questo funesto avvenimento storico e dell’appropinquarsi a un ritorno di “normalità”, ovvero del momento in cui riusciremo a riappropriarci delle nostre abitudini di vita, lavorative e ludiche, delle nostre relazioni sociali e affettive, della nostra routine e delle nostre certezze.

Al grido di “restate a casa” e “ce la faremo” ci siamo adattati, facendo buon viso a cattivo gioco, guardando il bicchiere mezzo pieno e cogliendo nel cambiamento imposto una possibilità di riscoperta valoriale e personale.

Con i miei pazienti ho potuto esplorare resistenze, meccanismi di difesa, risorse inaspettate e talenti nascosti, cogliendo un movimento comune, quello dell’inversione di rotta dell’attenzione dal fuori al dentro, in un moto di introspezione crescente, come strumento privilegiato di sopravvivenza e adattamento. Ciò ha prodotto la formazione di immagini mentali nuove in ciascuno di noi e la creazione di nuove abitudini, stili di vita, aspettative, riflessioni e sentimenti, verso gli altri e verso se stessi.

Ora, da circa una settimana, comincio a scorgere nella maggiorparte dei miei pazienti l’emergere di un altro tema, quello della preparazione interiore alla tanto attesa fase 2, ovvero del ritorno, seppur graduale, alla vita lavorativa e sociale, alla possibilità di uscire di casa e incontrare, sebbene nel rispetto del distanziamento sociale e delle misure di sicurezza, altre persone. L’eccitazione mentale e le risposte emotive stimolate da questo movimento interno di preparazione all’uscita hanno evocato in me il ricordo di alcune pagine di un libro che amo moltissimo: Zanna Bianca, di Jack London. La rilettura del capitolo 4 del libro, intitolato La parete del mondo, mi ha aiutato a trovare spunti utili a stimolare l’approfondimento dei vissuti raccontati dai miei pazienti, favorendo il dialogo tra le componenti istintuali, le immagini mentali, i pensieri e i vissuti emozionali espressi nel corso delle sedute.

Come il lupacchioto aveva imparato a conoscere la legge che gli proibiva di avvicinarsi all’ingresso della tana, così noi abbiamo interiorizzato i divieti di svolgere una miriade di attività che scandivano gran parte della nostra vita: Il duro ostacolo costituito dalle pareti della tana, il colpetto deciso del naso della mamma, la sua violenta zampata, la fame non placata durante una serie di carestie, avevano fatto sorgere il lui la sensazione che nel mondo non vi era una libertà assoluta, e che nella vita vi erano limitazioni e restrizioni. E queste limitazioni erano diventate leggi. Obbedire significava evitare il dolore ed essere felici… Così, obbedendo alla legge impostagli dalla madre e alla legge di quella cosa sconosciuta e senza nome, la paura, si teneva lontano dall’ingresso della tana.

Ecco che anche noi abbiamo imparato a vedere i confini impostici come quelli di una tana, all’interno della quale poterci sentire al sicuro, pur soffrendo le limitazioni che ciò ha comportato.

Ed ecco che anche in noi l’idea di affrontare “l’uscita dalla tana” è sospinta da forze ambivalenti, derivanti da un’eccitazione fisiologica del sistema nervoso e dall’attivazione di immagini mentali che prefigurano rischi e opportunità producendo idee coscienti, ma soprattutto sogni e fantasie che danno vita immaginativa alle nostre angosce e ai nostri desideri: Ma vi erano altre forze che agivano sul lupacchiotto… Era impossibile arginare l’ondata di vita che gonfiava sempre più in lui, ad ogni respiro… E un giorno, finalmente, paura e obbedienza furono travolte dall’impeto di vita, e il lupacchiotto si avvicinò a passi malfermi all’imbocco della tana.

Il lavoro terapeutico allora va verso la ricerca della riappropriazione e l’intergrazione degli istinti, quelli bestiali e quelli tipicamenti umani, con particolar riferimento alla coscienza, che è un “istinto sfuggente e complesso, che è radicato nell’organo più impenetrabile dell’universo: il cervello” (Michael S. Gazzaniga, La coscienza è un istinto).

Così solo recuperando e integrando nella nostra coscienza la spinta vitale, la curiosità, la “fame” di stimoli ambientali e relazionali, diventa possibile far fronte alla paura e all’idea di un mondo sempre più pericoloso: Era una cosa sbalorditiva. Stava strisciando attraverso qualcosa di solido e la luce diventava sempre più intensa. La paura lo spingeva a tornare indietro, mentre l’ondata di vita che gonfiava in lui lo incitava a proseguire… Fu preso da una paura folle. Questo era ancora più terribile dell’ignoto. Si accovacciò all’imbocco della tana e guardò quel mondo nuovo… al di là della sua debolezza e della sua paura sfidò minacciosamente quel mondo immenso… La paura era stata soffocata dalla curiosità.”

London ci parla della curiosità come impulso vitale verso l’esplorazione dell’ambiente, come istinto che guida l’apprendimento e l’adattamento del cucciolo. Allo stesso modo se il rintanarci e l’affidarci alle Istituzioni ha prodotto in noi spinte regressive, così “l’uscita dalla tana” richiede un movimento di ri-crescita capace di proiettarci in un mondo nuovo, forse più pericoloso, sicuramente diverso da quello a cui eravamo abituati. Ci vuole coraggio quindi, quello del piccolo cucciolo, ma anche apertura, perché all’apertura dei confini esterni dovrà corrispondere quella della coscienza ai contenuti reconditi dell’inconscio, espressi mentalmente dalle fantasie a occhi aperti e dai sogni, ma anche dalle manifestazioni sintomatiche dell’ansia come preparazione al pericolo, della depressione come riduzione adattiva dell’eccitazione neurofisiologica (dal lat. depressio -onis, l’atto, il fatto di deprimere, di portare cioè a un livello più basso), e dell’insonnia come bisogno di non perdere il controllo continuando ad anticipare mentalmente la realtà. Solo dando significato a questi fenomeni del corpo e della mente potremo trovare un nuovo equilibrio, affrontare il cambiamento che ci aspetta, e riuscire a creare nuove strategie per soddisfare i nostri bisogni. Solo prendendoci cura della carica introspettiva stimolata dall’isolamento potremo rinnovarci, spezzare le nostre coazioni a ripetere e immaginare un nuovo modo di stare al mondo.

Il cambiamento ci aspetta, all’uscita della tana, e noi non potremo essere quelli di prima. Dovremo crescere, e per farlo non potremo accontentarci di reagire a ciò che avviene, ma dovremo tendere a essere coscienti di ciò che accade, fuori e dentro di noi.

Bibliografia

Jack London, Zanna Bianca

Gazzaniga Michael S., La coscienza è un istinto





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