"Abbiamo paura della vita, ecco perché cerchiamo di controllarla e dominarla".
E’ noto quanto l’ansia e il panico si caratterizzino per essere esperienze sgradevoli e invalidanti per l’individuo che le sperimenta.
Perché le proviamo?
Alexander Lowen ci spiega con chiarezza l’eziologia di questo fenomeno (Lowen, 1975), evidenziando come il bambino, sin dal suo primo anno di vita, reagisca con movimenti volontari al dolore e alla paura. Questi movimenti esprimono un senso di irritazione che, quando si fa più intenso, si trasforma in collera. L’emozione della collera sostituisce a poco a poco il pianto come mezzo per allentare la tensione. A livello corporeo nella collera l’eccitazione carica il sistema muscolare e lo predispone ad uno stato di allerta, mentre attraverso il pianto il corpo sperimenta una condizione di abbandono: piangendo infatti, l’energia viene allontanata dal sistema muscolo-scheletrico e la tensione viene eliminata da una serie di singhiozzi.
Lowen sottolinea quanto sia importante esprimere tali emozioni, proprio perché un’inibizione ripetuta del dolore e della rabbia costringe la persona in una posizione di paura e vulnerabilità. Non bisogna perciò mai dire a un bambino – e in realtà neanche a un adulto – di non provare ciò che prova. Si pensi ad esempio a un bambino che ha paura del buio e al quale viene detto “non devi aver paura!”. Egli maturerà un senso di inadeguatezza e inibirà la reazione di allontanamento dalla stanza buia per compiacere l’adulto e attraverso il biasimo della paura nascerà in lui un senso di vergogna che porterà all’inibizione dell’espressione emotiva. L’inibizione di un’emozione può modificare il comportamento in direzione opposta a quella indicata dall’emozione stessa, non facendola però scomparire, ma rimuovendola dalla coscienza e iscrivendola nella memoria corporea, attraverso la quale continua a manifestarsi.
È così che nascono l’ansia e il panico: costituiscono l’espressione inconscia e corporea di un’emozione repressa.
I bambini che sono sotto la costante minaccia del dolore infatti vengono a trovarsi in uno stato cronico di panico che viene gradualmente rimosso dalla coscienza attraverso l’inibizione della sua espressione. Tale rimozione ha un’efficacia solo parziale in quanto il panico, nel corso della vita, riappare in situazioni di stress che apparentemente non giustificano una reazione così intensa.
Come si possono affrontare ansia e panico?
La persona ansiosa o che si trova in uno stato di panico ha la sensazione di non inspirare abbastanza aria. Lowen sostiene che all’origine di tale difficoltà di respirazione c’è sempre un urlo bloccato che, se espresso, libera dal panico, in quanto consente una respirazione adeguata.
Quando c’è un latente senso di panico infatti, il corpo è teso come se meditasse la fuga, il torace è gonfio e si mantiene in una posizione inspiratoria. La paura induce la persona a inspirare il più possibile per immagazzinare una maggiore quantità di ossigeno necessaria alla lotta o alla fuga. L’aria viene trattenuta, la gola si chiude e sembra che la persona non respiri. L’impossibilità di buttar fuori l’aria mantiene il soggetto in stato di panico, così come la difficoltà a inspirare pienamente fa continuare lo stato di terrore.
Tale meccanismo sta alla base dei disturbi somatici descritti dalla maggior parte delle persone ansiose. Parestesie, formicolii, giramenti di testa e senso di offuscamento sono la conseguenza di uno squilibrio tra la quantità di ossigeno e l’anidride carbonica nel sangue (sintomatologia da iperventilazione). Difatti, sebbene possa sembrare un paradosso (spesso, nella pratica clinica, i pazienti riferiscono di non riuscire a respirare), questi sono tutti sintomi che manifestano un eccesso di ossigeno che l’organismo non riesce a espellere. Per questo motivo, quando una persona è in uno stato di panico, la si fa respirare per due o tre respiri completi dentro una busta di carta: perché inspirando un po’ della propria anidride carbonica, viene ripristinato il rapporto fisiologico tra ossigeno e anidride carbonica, le sensazioni sgradevoli passano e l’individuo si calma.
La paura di allentare il controllo dell’Io e arrendersi al corpo è un’esperienza molto comune. Essa ha a che vedere con la paura di impazzire (connessa con l’esperienza infantile di esser stati fatti quasi impazzire dall’ostilità, derivante dalle vessazioni, dalla confusione e dall’ambivalenza cui il bambino è sottoposto) e con la paura di morire (connessa all’esperienza precoce del bambino di essere in pericolo di vita, che per l’infante coincide con la paura di essere abbandonato dalla madre, in quanto egli dipende completamente dalle sua cure).
Arrendersi al corpo significa in tal senso accettare la disperazione dell’abbandono.
Ciò può avvenire, con il sostegno e l’incoraggiamento del terapeuta psicocorporeo, attraverso l’espressione del corpo con il pianto, e della mente con le parole. Quando la disperazione viene espressa associando adeguatamente queste modalità, i vissuti vengono reintegrati nell’esperienza cosciente dell’individuo, riconnettendo l’esperienza del corpo e della mente e aiutandolo a superare il senso di panico.
Si può dire anche che la terapia passi attraverso un accompagnamento regressivo verso i vissuti dell’infanzia e della fanciullezza ed una reintegrazione di questi nella personalità adulta. Solo accettando la propria fragilità e imparando a rischiare il panico dell’abbandono l’individuo può riuscire ad amare se stesso e gli altri. Ciò può avvenire attraverso un processo di reintegrazione del proprio bambino interiore, passando per l’accettazione del dolore, la riparazione delle rotture relazionali e la cura delle ferite emotive.
Tale processo viene favorito attraverso i principi e le metodiche utilizzate nel modello della psicoterapia biosistemica.
Il grounding simbolico. Il terapeuta effettua un monitoraggio costante della postura, della respirazione, delle sensazioni corporee: solo in tal modo può consentire al paziente di esprimere liberamente le proprie emozioni. Questo permette di avere una spiegazione di ciò che avviene nel proprio corpo quando vive uno stato d’ansia o un attacco di panico, consentendogli di abbandonare quei costrutti mentali di autocolpevolizzazione e inadeguatezza che hanno l’effetto di perpetrare la situazione di disagio emozionale ostacolando il processo di comprensione del sintomo (Liss e Stupiggia, 1994).
Le tecniche corporee. Il terapeuta lavora con il paziente sulla respirazione e sul movimento corporeo, dandogli da subito degli strumenti utili ad affrontare, anche al di fuori della seduta, il nemico – ansia, panico. È importante capire che dietro a questo tipo di disagio c’è un vissuto orientato all’urgenza, al quale bisogna dare una risposta anche in termini di soluzioni, spiegazioni e rassicurazioni.
Il calore relazionale. Il terapeuta biosistemico, è un terapeuta caldo (Boadella e Liss, 1986). Non esistono regole rigide riguardo al setting biosistemico, perché ci viene insegnato che dobbiamo stare comodi in studio, ma anche che bisogna far stare a proprio agio il paziente. Nello specifico, il paziente con un problema d’ansia o con esperienza di attacchi di panico, attualizza un antico vissuto di de-sintonizzazione emozionale e corporea con le figure di accudimento. La rottura degli schemi senso-affettivo-motori generati nell’originaria relazione di attaccamento e la ricostruzione di schemi più funzionali implica, dal punto di vista transferale, un coinvolgimento emozionale nella relazione terapeuta-paziente che non può essere ignorato.
Solo attraverso di esso il paziente potrà riattualizzare il proprio vissuto interiore, in un processo di ristrutturazione emotiva, cognitiva e corporea, che lo accompagni verso la guarigione.
Bibliografia:
Boadella D., Liss J. (1986), La psicoterrapia del corpo, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma.
Liss J., Stupiggia M. (1994), La terapia biosistemica, Franco Angeli Editore, Milano.
Lowen A. (1975) Bioenergetics, New York, Coward McCann & Geoghegan. Tr. it. Bioenergetica, Milano, feltrinelli, 1983.
Lowen A. (1984), Il piacere, tr. It. Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma.